lunedì 3 dicembre 2007

Brevi - 1'900 km per arrivare sulle nostre tavole. Non sarà un po' troppo?

Riporto una parte di un articolo di TigullioVino:

Al Gore nel suo libro “Una scomoda verità” ha inserito l’acquisto di cibi locali offerti direttamente dagli agricoltori nell’elenco delle cose da
fare per dare una mano a salvare la terra dal surriscaldamento globale.

“È stato stimato che un pasto medio percorre più di 1.900 km per camion, nave, e/o aereo, prima di arrivare sulla nostra tavola, quindi è molto più ragionevole comprare alimenti che non devono fare tutta quella strada perché spesso ci vogliono più calori di energia per portare il pasto al consumatore di quanto il pasto stesso provveda in termini nutrizionali”.

Un invito, questo del premio Nobel Al Gore, a impegnarsi per mangiare alimenti a “km zero”, prodotti cioè vicino casa, che Coldiretti vuole raccogliere con forza a difesa del prodotto locale, per la tutela dell’ambiente, ma anche in virtù della nuova sensibilità etica che il cittadinoconsumatore sempre più manifesta quando acquista i prodotti alimentari.

domenica 2 dicembre 2007

Il combustibile delle termiti

Com'è noto, i biocombustibili sembrano una soluzione immediata e praticabile al problema energetico su scala planetaria (soprattutto per sostituire i carburanti esistenti), ma ne creerebbero subito un altro: per essere prodotti in quantità sufficienti, si dovrebbe coltivare un'estensione talmente ampia di terreno da mettere in seria crisi l'approvvigionamento alimentare mondiale. Inoltre, tali coltivazioni sarebbero impiantate principalmente nelle aree povere del pianeta, quelle dove lo sfruttamento intensivo dell'agricoltura non ha ancora saturato il territorio.
Per questo urge trovare altre soluzioni eticamente corrette nei confronti di chi non ha un adeguato sostentamento nutrizionale. Una possibile soluzione viene da uno studio che prende ad esempio il sistema adottato dalle termiti per produrre l'energia necessaria a sopravvivere.
Riportiamo qui la notizia data dal sito Le Scienze.

Il problema più grave posto dallo sviluppo dell'attuale generazione di biocombustibili è che per ottenere una buona conversione enzimatica in etanolo della materia prima, bisogna ricorrere a risorse agricole che hanno anche una destinazione alimentare. Per ovviare a questo inconveniente, che ha già suscitato aspre polemiche, si stanno studiando processi alternativi che consentano lo sfruttamento diretto della cellulosa, ossia di una materia priva di interesse alimentare. Finora tuttavia i processi di questo tipo individuati sono alquanto complessi e difficili da trasportare su una scala industriale.

Un passo in avanti su questa strada potrebbe però venire dalle termiti. L'intestino di questi insetti - che in molte regioni del globo provocano ogni anno danni per miliardi di euro - è suddiviso in diversi compartimenti, nei quali sono ospitate specifiche comunità di microbi. Ognuna di queste colonie ha il compito di convertire i polimeri del legno, in zuccheri, che possono poi essere fermentati in combustibile.

Ora - come è riportato in un articolo pubblicato su "Nature" - un gruppo internazionale di biologi è riuscito a sequenziare e analizzare il codice genetico di questi microbi, compiendo un passo chiave verso la possibilità di riprodurre su scala industriale quanto avviene, con grande efficienza, nel microscopico bioreattore che è l'intestino della termite.

I ricercatori, in particolare, hanno analizzato circa 71 milioni di "lettere" del codice genetico dei fibrobatteri (che degradano la cellulosa) e dei treponemi (che, attraverso la fermentazione la convertono in zuccheri) estratti dall'intestino di una colonia di termiti del Costa Rica.

"In teoria - osserva Andreas Brune del Max-Planck-Institut per la microbiologia terrestre - grazie a questi batteri le termiti potrebbero convertire un foglio di carta A4 in due litri di idrogeno."

Per portare a scala industriale questo processo, ha aggiunto Eddy Rubin, direttore de Joint Genome Institute (JGI) del Dipartimento per l'energia degli Stati Uniti, "bisogna individuare il gruppo di geni che ha gli attributi funzionali chiave nella demolizione della cellulosa, e questo studio ha fatto un passo in avanti essenziale in questo cammino." (gg)

lunedì 19 novembre 2007

A proposito del latte d'asina

Il latte di asina è un prodotto antico, che l’uomo ha utilizzato da sempre. Non ci sono documenti che indicano il momento in cui l’uomo ha iniziato a mungere le asine, ma si presume che questa attività abbia avuto origine con la nascita dell’ allevamento di asini. Le più antiche testimonianze storiche atte a documentare la presenza di allevamenti asinini sono delle raffigurazioni su bassorilievi, risalenti al 2500 a.C, ritrovate in Egitto. Nello stesso territorio Come non ricordare le ambizioni di bellezza di Cleopatra e, a Roma, quelle di Poppea che, con le loro abitudini ampiamente documentate dagli storici del tempo, mettono in risalto le proprietà del latte di asina.
Plinio tra Roma e Atene diffuse ricette per preparare pozioni e unguenti a base di cipolla, piante palustri e latte di asina, considerandolo un liquido particolarmente curativ.
Bisognerà comunque attendere il Rinascimento, per una prima vera considerazione scientifica del latte di asina da parte dei saggi del tempo, quando Francesco І, in Francia, su consiglio dei suoi medici utilizzò il latte di asina per guarire da una lunga malatti a. Nel XIX° secolo, sempre in Francia, ad opera del dottor Parrot dell’ “Hôpital des Enfants Assistes” si diffuse la pratica di avvicinare i neonati direttamente al capezzolo dell’asina per essere allattati.
Attualmente si osserva in Italia un interesse per il latte di specie diverse da quelle generalmente considerate lattifere (bovina, ovicaprina). Questo è dovuto sia ad un desiderio di tutelare le biodiversità, sia ad esigenze terapeutiche.
Si verificano sempre più frequentemente, infatti, allergie o intolleranze alle componenti del latte vaccino, che richiedono l'utilizzo di latte alternativo.
Il latte di asina si presenta come un ottimo alimento funzionle, il cui interesse si amplia in numerosi settori fino anche a quello zootecnico.I suoi maggiori campi di impiego sono quello medico, alimentare e cosmetico.
In campo medico il latte di asina trova impiego per il contenimento delle forme di APLV (L'allergia alle proteine del latte vaccino) nei neonati e adulti, per la convalescenza, per la regolarizzazione della flora gastro-enterica, per la prevenzione di malattie cardiovascolari, infiammatorie e di natura autoimmune.
Nell’alimentazione dei neonati il latte di asina è una valida alternativa naturale per quelli che non possono disporre del latte materno.
Bisogna ricordare che il suo valore energetico risulta piuttosto inferiore ai valori medi richiesti da un’alimentazione equilibrata, tuttavia si possono eseguire facili integrazioni per correggere questo difetto. I vantaggi di alimentare con latte di asina un bimbo si identificano in alcuni punti quali: la quantità di lattosio e del residuo secco, prossimi a quella del latte umano. Tali che il carico renale di bambini alimentati con latte di asina è stato stimato essere simile a quello riscontrato in neonati alimentati con latte materno.

giovedì 15 novembre 2007

E' nata la Rete dei Semi Rurali (News)

Rigiro la seguente email che mi è giunta, sintomo che qualcosa si muove anche in Italia, e che è necessario sostenere uno "sviluppo" umano, localizzato, etico e salutare.

Nel giorno di San Martino che segna la fine dell'annata agraria e l'inizio della nuova a Scandicci (FI) è stata creata la “Rete Semi Rurali” i cui soci fondatori sono 8 associazioni da tempo impegnate nella salvaguardia della biodiversità e della agricoltura contadina: l’Associazione Rurale Italiana (ARI), l’Associazione per la Salvaguardia della Campagna Italiana (ASCI), Archeologia Arborea, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, Civiltà Contadina, il Consorzio della Quarantina, il Coordinamento Toscano Produttori Biologici (CTPB) e il Centro Internazionale Crocevia. Si tratta di un momento importante per il mondo dell’associazionismo agricolo italiano, che mettendosi insieme vuole ricordare a tutti che la biodiversità agricola va conservata, valorizzata e sviluppata nelle campagne dagli agricoltori, prima di tutto, facendola una buona volta uscire dalle banche genetiche dei centri di ricerca.

La Rete si è data uno statuto per sostenere, facilitare e promuovere il contatto, il dialogo, lo scambio e la condivisione di informazioni e iniziative tra coloro che difendono i valori della biodiversità e dell’agricoltura contadina e si oppongono a ciò che genera erosione e perdita della diversità, all’agricoltura mineraria basata sulla monocoltura intensiva e/o sulle colture geneticamente modificate.
I fondatori della Rete riconoscono che il recupero delle varietà tradizionali e contadine deve diventare un'attività produttiva, incentivando la commercializzazione e il consumo locale delle varietà più interessanti dal punto di vista alimentare, gastronomico e economico evitando di cadere nel clamore superficiale ed erosivo generato dal marketing della tipicità.
Tra i suoi obiettivi principali ci sono il sostegno al recupero, coltivazione, allevamento, conservazione, scambio, sviluppo e diffusione di varietà e razze tradizionali e contadine di interesse agricolo; la promozione dell’innovazione rurale, anche attraverso la ricerca partecipativa, e lo scambio di conoscenze e saperi tra agricoltori; la valorizzazione della cultura rurale, dell’agricoltura contadina, dei saperi popolari, delle pratiche locali, delle titolarità collettive, dei luoghi comunitari, degli usi tramandati e delle consuetudini condivise;
Per far questo è importante aver chiaro a quale modello agricolo la Rete si rivolge e a quali sono gli agricoltori di riferimento. Parlare di sementi adatte al territorio, vuol dire, infatti, parlare di agricoltura contadina e familiare, realizzata spesso in quelle zone marginali, come, ad esempio, le tante montagne e colline che compongono l’ossatura del nostro paese o economicamente marginalizzata dal modello agroindustriale. In questo humus culturale vuole lavorare la Rete, diventando un tessuto connettivo di supporto e sostegno delle diverse realtà locali e nazionali già da tempo attive.

sabato 10 novembre 2007

Se neanche il Prof. Umberto Veronesi, oncologo di fama mondiale e persona di grandi doti intellettive, esula dal novero di coloro che sbagliano ad inquadrare la questione degli OGM, vuol dire che molto probabilmente esiste un deficit di comunicazione e di circolazione delle reali problematiche a causa delle quali milioni di contadini lottano contro la loro diffusione nel mondo. Succede ieri, nel TG1, quando -ospite in studio- viene intervistato sul ruolo della ricerca genetica per la lotta contro il cancro e si spende a favore della ricerca sugli OGM in agricoltura. Stimolato sull'argomento, Veronesi sostiene che non c'è motivo di essere contrari agli OGM perché non c'è nessuna prova della loro nocività (ma neanche, direi, una prova contraria), e già milioni di persone ne fanno uso quotidianamente. Dopodiché fa un esempio che taglia la testa al toro: è proprio grazie ad una modifica genetica in un batterio, ottenuta impiantandovi tratti genici umani, che oggi si può produrre insulina a basso costo per i diabetici.

Infatti il punto non è questo: la ricerca genetica è importante, non deve essere mortificata se i suoi scopi sono la salute dell'uomo e l'aumento della qualità della vita, anche perché la creazione di varietà artificiali è crossing genetico a tutti gli effetti ed è vecchia come l'agricoltura. Le varietà selezionate dall'uomo si sono rivelate in alcuni casi molto efficaci, dal momento che sono riuscite ad ottimizzare le caratteristiche di resistenza al clima in aree dove la coltivazione risulta difficoltosa, oppure a migliorare la resa dei raccolti, come ha fatto –con tecniche scientifiche ma tradizionali- Nazareno Strampelli all'inizio del Novecento. In molte parti del mondo, tuttavia, questo immenso patrimonio è stato spazzato via dalle varietà industriali, ed ora che se ne ha bisogno, non si cerca di recuperare quelle tradizionali ma si investono miliardi di dollari per crearne di nuove. Una ricerca genetica mirata, di qualità, controllata dal mondo al quale si rivolge –cioè da agricoltori e consumatori- sarebbe certamente auspicabile. Di comportamenti anetici, sleali, doppiogiochistici, di ipocrisia e avidità di potere e denaro non abbiamo proprio bisogno.

Il problema che nessuno tocca, quindi –neanche il grande Veronesi-, investe la sfera del potere delle società transnazionali che producono sementi OGM, e dei diritti dei lavoratori della terra. Usurpazioni, connivenze fra società private e governi, tensioni e violenze connessi a simili conflitti, violazioni di diritti, soggezioni economiche di popolazioni povere, finanche sterminio di comunità attraverso una radicale appropriazione delle loro terre ed un'infiltrazione massiccia di equilibri economici e sociali a loro estranei che disgregano la loro cultura. Nessuno, dal tubo catodico, si affaccia nelle case degli italiani per dire loro che, mentre il rischio patogenetico connesso agli OGM è solo un'eventualità per il futuro, gli enormi squilibri socio-economici portati dalle compagnie dell'agrobusiness sono un problema immediato e dilagante. Non ha senso spendere miliardi di dollari per una ricerca che riduce in schiavitù od annienta culture millenarie, soprattutto se queste ultime possiedono già una conoscenza sconfinata, sono custodi di una biodiversità che per l'uomo è solo un vantaggio e sono gli attori di un'agricoltura delicata, legata al territorio, naturale, intrinsecamente etica perché insegue i bisogni dell'uomo, non dei bilanci societarii.

Se al prof. Veronesi sta davvero a cuore la vita degli esseri umani, deve avere la consapevolezza che gli OGM non sono vita, e non lo saranno fin quando verranno seminati da mani ipocrite nel dolore e nel sangue dei poveri.

venerdì 9 novembre 2007

Due minuti per Greenpeace, due petizioni per l'ambiente

Riportiamo un'email di Greenpeace Italia per chi non l'ha ricevuta; in essa si invita a partecipare a due cyberazioni, ovvero ad inviare email precompilate nel testo (c'è solo da compilare il form anagrafico) per sostenere la posizione del Commissario europeo per l'Ambiente contro gli OGM, e per invitare alcune grandi catene distributive italiane a non vendere più nei propri supermercati le lampadine ad incandescenza.

Un minuto del tuo tempo per difendere l'Europa dagli Ogm


Ciao,

Prima di tutto mi scuso per il "bombardamento di email" di queste settimane, ma questa è una comunicazione davvero urgente. E il tuo aiuto è fondamentale.

Lo scorso 25 ottobre il Commissario europeo per l'Ambiente Stavros Dimas ha sfidato le aziende dell'agro-business rifiutando di autorizzare la coltivazione di due varietà di mais Ogm. La pressione delle aziende del settore è tuttavia molto forte e questa coraggiosa decisione a tutela dell'ambiente e dei consumatori rischia di essere ribaltata dalla Commissione Europea.

La Commissione si riunirà nei prossimi giorni. Dobbiamo tutti insieme sostenere la posizione espressa da Dimas e far capire, con chiarezza, che siamo contrari agli Ogm.
Scrivi al Presidente della Commissione Manuel Barroso e ai Commissari Dimas, Kyprianou, Fischer-Boel e Frattini. E chiedi di bloccare la coltivazione di Ogm in Europa!
http://www.greenpeace.it/ogm/dimas

Ti ricordo inoltre che, in questo periodo, è attiva un'altra cyberazione a livello italiano per chiedere alla grande distribuzione - Coop, Auchan ed Esselunga – di eliminare dagli scaffali le lampadine incandescenti, sprecone e nemiche del clima. Dopo 10 giorni siamo a più di 3000 email inviate. Ma dobbiamo fare molto di più. Partecipa adesso!
http://www.greenpeace.it/incandescenti/scrivi.php

Fai girare questa email tra i tuoi amici o colleghi!

Se vuoi sostenere adesso, con carta di credito, Greenpeace premi qui
Per informazioni sulle altre modalità di donazione premi qui

Grazie di tutto e a presto

Marcello Colacino
Webmaster Greenpeace Italia

mercoledì 7 novembre 2007

Troppa carne, le mucche inquinano più delle macchine.

"Se pensiamo che la produzione di un kg di manzo causa una emissione di gas serra e altri inquinanti equivalente a quella che si ottiene guidando per tre ore lasciando nel frattempo accese tutte le luci di casa, possiamo ben capire quanto sia potente la scelta di consumare meno alimenti animali, più potente di qualsiasi altra scelta il singolo possa fare. Questo porterebbe a molti effetti collaterali positivi: una dieta più sana, migliore qualità dell'aria, maggiore disponibilità di acqua, una razionalizzazione dell'uso dell'energia e della produzione di cibo".
(Fonte: GreenPlanet)

La notizia fa parte di uno studio dal titolo "Cibo, allevamenti, energia, cambiamenti climatici e salute" apparso su Lancet del 13 settembre, una prestigiosa rivista scientifica internazionale.
Non pensiamo alle bistecche che cuciniamo nelle nostre case: di quelle abbiamo bisogno. Pensiamo a quanta carne viene prodotta per confezionare alimenti industriali precotti di cui non abbiamo nessun bisogno; a quanta ne rimane invenduta ogni giorno nella grande distribuzione; a quanta se ne spreca per il cibo industriale per cani e gatti; a quanti hamburger sfornano quotidianamente i fast-food di tutto il mondo, e specialmente lì dove non ci sono più tradizioni gastronomiche. E' evidente che c'è un problema di iperconsumo carneo perché c'è un problema di iperproduzione, al quale le industrie pongono rimedio stimolando i nostri gusti e le nostre abitudini alimentari fino a snaturarle. Non siamo noi ad aver bisogno di carne tutti i giorni, ma gli allevatori ad aver bisogno di venderla sempre. Troppa carne significa anche malattie, quindi costi sociali, aumento della pressione fiscale, sovraccarico per le strutture sanitarie -o, dove non c'è Stato sociale, spese ingenti a carico delle famiglie, impoverimenti, indebitamenti-.

VOTA PER RENDERE L'EUROPA LIBERA DAGLI OGM!

Vuoi che l'agroalimentare, il cibo e la sua genuinità siano il cuore dello sviluppo, fatto di persone e territori, salute e qualità, sostenibile e innovativo, fondato sulla biodiversità, libero da OGM?
Va' su questo sito e vota: http://www.liberidaogm.org/liberi/voto.php

(La Coalizione “ItaliaEuropa – LIBERI DA OGM” è un vasto schieramento costituito dalle maggiori organizzazioni degli agricoltori, del commercio, della moderna distribuzione, dell’artigianato, della piccola e media impresa, dei consumatori, dell’ambientalismo, della scienza, della cultura, della cooperazione internazionale, delle autonomie locali)

domenica 4 novembre 2007

Cosa dice un seme di soia ad un seme di mais?

Cosa dice un seme di soia ad un seme di mais? "Prima i commestibili che i combustibili". Cosa dice una canna da zucchero ad una palma africana? "Prima i commestibili che i combustibili". E cosa dice un contadino ugandese, messicano o indonesiano ad un automobilista europeo? "Prima i commestibili che i combustibili".
Irene Iborra

venerdì 2 novembre 2007

Scontro a fuoco fra attivisti sentierra brasiliani e la Syngenta

La stessa notizia del post precedente, dedicato alla Syngenta, è stata data anche dall’International Herald Tribune. Riportiamo l'articolo per intero, dato il suo carattere documentariale

Due persone sono state uccise in occasione di uno scontro a fuoco: degli attivisti sono stati affrontati da uomini armati allorché i primi hanno invaso un’azienda agricola di proprietà svizzera che è stata un punto caldo nel dibattito sulle colture biotecnologiche, le concessioni relative e la società. Una guardia di sicurezza ed un attivista sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco domenica nell’azienda agricola di proprietà della Syngenta AG, una società multinazionale con un prevalente interesse sui semi geneticamente modificati. L’agenzia di stampa Agencia Brasil ha dichiarato che sono stati feriti quattro attivisti e altrettante guardie di sicurezza. I dettagli sullo scontro erano ancora poco chiari, ma il governo dello stato di Paranà ha dichiarato che sono state arrestate sette guardie, ipotizzando possibili imputazioni per omicidio. Come ha precisato il governo dello stato, la polizia il lunedì seguente era ancora all’esterno dell’azienda agricola per prevenire ulteriori episodi di violenza, mentre, come ha dichiarato il Movimento di Lavoratori Senzaterra (MST), gli attivisti –inclusi i membri dell’MST e il gruppo di Via Campesina- avevano sparato dei fuochi d’artificio al momento di entrare nella fattoria, e più tardi è arrivato un pullman con delle persone armate.

Ne sarebbe conseguito uno scontro a fuoco, sebbene –lo ha detto il portavoce della company svizzera Medard Schoenmaeckers- il contratto della Syngenta con la sua società di sicurezza richiedesse alle guardie di essere disarmate. Questi ha descritto l’episodio come “uno scontro davvero drammatico e violento, dal quale abbiamo capito che vi sono stati dei ferimenti mortali”. Mentre il governo nazionale brasiliano consente l’uso di semi geneticamente modificati per alcune colture, il governo dello stato di Paranà ha recentemente messo al bando il mais OGM e ha provato ripetutamente a far cessare le attività agricole della Syngenta. La portavoce del Movimento dei Lavoratori Senzaterra, Maria Mello, ha affermato che l’invasione nella Syngenta è stata parte di un’offensiva per colpire “le multinazionali nel settore dell’agribusiness la cui presenza in Brasile allontana nel tempo la rapida attuazione della riforma agraria”. Il gruppo intende anche “porre fine agli effetti nocivi dei prodotti geneticamente modificati e all’aumento della loro presenza in Brasile”, ha detto la Mello.

Il gruppo di sentierra, una forza politica consolidata in Brasile, fa uso dell’invasione delle proprietà private per pressare il governo affinché distribuisca le terre ai poveri. Via Campesina afferma di rappresentare i contadini poveri e le comunità indigene in 56 nazioni. Circa 300 attivisti avevano invaso la prima volta l’azienda agricola nel marzo 2006, abbattendo i cancelli e piantando tende per pubblicizzare il loro messaggio, secondo il quale la ricerca ivi effettuata sulla soia e sul mais OGM è illegale. Rimasero sul posto fino a luglio, quando la Syngenta vinse un ricorso per espellerli. “La società –ha dichiarato Schoenmackers- non ha mai fatto nulla di sbagliato o di illegale in Brasile”, ed è ancora in corso una decisione sul futuro della fattoria. Ha aggiunto che non vi erano dipendenti della Syngenta nel momento in cui si è verificato lo scontro.

La Syngenta è stata creata nel 2000 quando la Novartis AG e l’AstraZeneca PLC hanno fuso i loro agribusiness. Il sito web della società afferma che il 60% del mais e della soia da loro coltivati ha dei tratti genici modificati.

Lo scontro presso la fattoria della Syngenta è avvenuto proprio nei giorni seguenti ad un blocco ferroviario imposto da almeno 1’000 attivisti dell’MST, una tratta che viene usata per esportare ferro grezzo da un grande complesso minerario. Il blocco ha costretto la Companhia Vale do Rio Doca SA a rinunciare a carichi su nave per circa 250'000 tonnellate di ferro grezzo dall’Amazzonia ai porti dell’Atlantico, da dove sarebbero state imbarcate per tutto il mondo. Gli attivisti hanno rimosso il blocco ferroviario dopo che le autorità federali hanno acconsentito ad incontrarli questa settimana per discutere delle loro richieste, che vanno da una più celere riforma agraria ai lavori pubblici.

(Fonte: International Herald Tribune – da agenzia Associated Press)

giovedì 1 novembre 2007

La Syngenta si sporca le mani in Brasile

Dal Comitato Internazione di Coordinamento di "Via Campesina" è giunto ieri un comunicato preoccupante, di cui Yogurt vuole dare notizia, dal momento che si tratta di notizie che vengono regolarmente taciute da ogni telegiornale, e dalla quasi totalità della stampa.

Il 21 ottobe scorso, a Paranà, in Brasile, un gruppo di guardie armate assoldate con un contratto per conto della Syngenta, un'industria transnazionale svizzera che produce colture e semi geneticamente modificati, ha invaso l'accampamento di Tierra Libre, appartenente al Movimento Brasiliano dei Lavoratori Senzaterra (MST), che è affiliato a Via Campesina. Gli uomini armati sono penetrati all'interno e hanno sparato uccidendo Valmir Mota de Oliveira, noto anche come Keno, un capo dell'MST, hanno ferito numerose altre persone, e hanno minacciato di morte gli altri lavoratori della terra presenti nel campo.

Fin quando dovremo sopportare questi atti violenti perpetrati contro persone povere e indifese in nome del profitto economico?
Il coordinamento ora chiede di unire le forze per protestare contro gli uffici della Syngenta in tutti i Paesi nei quali essa sia presente, l'espropriazione delle terre attualmente utilizzate dalla Syngenta, l'espulsione della stessa dal Brasile, e la garanzia che il governo brasiliano assicuri l'incolumità fisica dei contadini minacciati con le armi.

Per approfondire: sito ufficiale della Syngenta; la notizia come riportata dall'International Herald Tribune (ce ne occuperemo subito in un approfondimento); un articolo sulla distribuzione illegale di un seme di mais negli USA, con le scuse ufficiali della Syngenta (qui un approfondimento sulla stessa notizia); un altro articolo in cui si parla di esperimenti illegali da parte della dita svizzera proprio nel sud del Brasile.

Il comunicato stampa è ora anche su Via Campesina.

domenica 28 ottobre 2007

Il futuro passa per il Farmer's Markets

C'è un grande problema nel mercato mondiale dei prodotti alimentari: tutto deve arrivare dappertutto, in nome del duplice imperativo, da una parte della crescita economica di chi produce, dall'altra del diritto da parte del consumatore ad avere a disposizione ogni bene immaginabile.
E' indubbiamente bello poter mangiare i pregiati formaggi alpini o una fetta di un formaggio olandese, così come è bello che nel mondo si possa comprare la pasta italiana, che è l'unica decente; ma il raggiungimento di quest'apparente forma di giustizia del mercato nasconde alcune gravi conseguenze. La prima è che un bene alimentare nato nella tradizione gastronomica di un luogo, per essere esportato, deve aumentare la propria produzione a livelli industriali tali da sopportare le richieste di un mercato via via sempre più ampio, conformemente alla legge della crescita. Questo lo porterà inevitabilmente ad uno scadimento della qualità, giacché alle tecniche artigianali si sostituiranno i criteri di convenienza e di compromesso tipici dell'industria alimentare, che ne sviliranno la genuinità in nome della trasportabilità a lungo raggio, della conservabilità e dell'omologazione dei gusti. La seconda conseguenza è che sul prezzo del prodotto incideranno sempre di più i costi di trasporto ed eventuali dazi doganali, ovvero che i trasporti aumenteranno di volume immettendo nell'aria enormi quantità di polveri sottili (i camion vanno a diesel e non sono affatto ecologici...), intasando le strade e incrementando quindi anche il rischio di incidenti; tra l'altro, maggiore è il raggio di esportazione, più passaggi ci sono: questo porta ad un impoverimento dei produttori a tutto vantaggio degli intermediari. La terza è che il prodotto e il territorio perderanno il loro rapporto esclusivo, intimo: un rapporto storicamente determinato, che quindi è studiabile con criteri di ricerca scientifici, ma che significa anche possibilità di sviluppo di un turismo legato al cibo.
Per questo bisognerebbe ricreare un legame saldo fra i produttori e i consumatori, che privilegiasse il rapporto diretto e fiduciario tipico delle produzioni artigianali (anche se molte produzioni saranno nel frattempo passate alla dimensione della piccola industria), la stagionalità e la tipicità delle materie prime di un luogo. Tutto questo si chiama farmer's market, letteralmente, dall'inglese, "mercato del fattore". Il farmer's market è un'idea sorta negli Stati Uniti, che in alcuni Paesi europei è già una realtà diffusa, mentre da noi -ovviamente- è ancora un miraggio. Però qualcosa comincia a muoversi.
A Monselice (PD) è stata inaugurata venerdì scorso la sede del Consorzio "Agrimons", un ottimo esempio italiano di farmer's market nato dall'impegno di una trentina di aziende; presenti -oltre il presidente del consorzio Mauro Bertin- il Ministro per le politiche agricole Paolo De Castro, il presidente di Coldiretti Padova Marco Calaon, il direttore Walter Luchetta, l'assessore al commercio del Comune di Monselice Bruno Cama e l'assessore provinciale all'agricoltura Luciano Salvò.
I farmer's markets sono stati istituiti per legge con la Finanziaria 2006. Quel che ora bisogna aspettarsi ragionevolmente è un impulso all'iniziativa, la quale, senza sottrarre grosse quote di mercato alla concorrenza, permetterebbe però di creare un mercato locale equo, abbassando i costi al consumatore ma aumentando i guadagni al produttore. Attualmente, per inquadrare normativamente i farmer's markets, è in corso da parte del Governo un accordo con l'ANCI (Ass. Naz. Comuni Italiani). Comprare locale, specialmente se si può farlo direttamente dai produttori, significa sapere ciò che si mangia. Inoltre, è un'iniziativa etica e responsabile che riporta il commercio nel solco di una giustizia sociale dalla quale troppo spesso anche l'industria alimentare si allontana.

(Fonte: GreenPlanet)

Per approfondire:
www.farmersmarket.it, il portale italiano dei farmer's markets
Per rendersi conto dell'ampiezza del fenomeno negli Stati Uniti: qui e qui
Per un caso italiano a Taranto leggi qui, qui (raccontata da Cremona), qui e qui (in PDF, con interessanti approfondimenti sul caso tarantino)

giovedì 25 ottobre 2007

Greepeace a favore dell'eolico

Vi rigiriamo una breve notizia diffusa da Greenpeace Italia, ritenendo che il tema dell'energia eolica, al centro di molte e controverse discussioni, sia tutt'altro che facile da chiarire. In attesa di occuparcene anche noi di Yogurt, vi lasciamo farvi un'idea di quanto sostiene la più importante associazione internazionale per la tutela dell'ambiente.


Roma, Italia — Greenpeace lancia oggi due video pro energia eolica. Realizzati dal regista Francesco Cabras e prodotti da Greenpeace in collaborazione con Ganga Film, i due filmati - disponibili su You Tube - sono stati girati in Toscana e in Sardegna. Per far capire che le pale eoliche non sono solo utili, ma possono anche essere belle. E in sintonia col paesaggio.

Una delle principali obiezioni sull'eolico riguarda l'impatto paesaggistico degli impianti e delle pale. Greenpeace presenta oggi questi due video girati rispettivamente a Scansano in Toscana e ad Aggius, in Sardegna, per far capire che gli impianti eolici non solo sono un passaggio obbligato per il futuro energetico del nostro Paese, ma possono integrarsi perfettamente col paesaggio.



(Fonte: Greenpeace Italia)

P. S.: i video sono visibili anche direttamente dalla pagina sopra riportata

mercoledì 24 ottobre 2007

Curiosità... al cacao

L’albero del cacao non esisteva nel Vecchio Mondo e gli europei lo conobbero solo dopo la scoperta dell’America. Il primo fu lo stesso Cristoforo Colombo, che però non ne rimase particolarmente impressionato, lo colpì solo il fatto che gli indigeni americani ne usassero i semi come moneta.
Quando nel 1519 Hernando Cortez sbarcò nel Messico, il cioccolato era la bevanda nazionale degli Aztechi, ed era però amara e molto, molto piccante, a causa dell’aggiunta di peperoncino. Non fu quindi subito apprezzata dagli spagnoli.
In seguito, alla fine del Cinquecento, eliminato il peperoncino e dolcificato con lo zucchero, il cioccolato conquistò la Spagna.
A quell’epoca la pasta del cioccolato, a base di cacao pestato, zucchero e spezie come vaniglia e cannella (Per essere consumata veniva poi diluita con acqua calda), era preparata in gran segreto nelle colonie Americane e, per mare, sfidando i pirati, giungeva in Europa.
In breve la cioccolata divenne una bevanda insostituibile. Addirittura, in certe occasioni fu motivo di scontro con la chiesa cattolica: durante le funzioni religiose era un andirivieni di ancelle che entravano in chiesa per portare cioccolata calda alle dame che ascoltavano le prediche, tanto che un vescovo minacciò di scomunica chiunque avesse consumato la bevanda nei luoghi sacri. Poi sorse anche la questione, risolta in seguito a molte diatribe, se la cioccolata rompesse o meno il digiuno, cioè se potesse essere consumata prima dell’Eucarestia.
Per circa tre secoli la cioccolata fu unicamente una bevanda, soltanto nell’800 comparvero tavolette e cioccolatini, ed ancora dopo le uova di cioccolato.

venerdì 19 ottobre 2007

La Cooperativa de Trabajadores Rurales in Argentina

"La cooperativa è la casa di ciascuno dei vicini e dei compagni che partecipano alla cooperativa e che producono”

(Zuray, socio della Cooperativa).

Si riconoscono innanzi tutto come trabajadores, lavoratori, perché "non possediamo né tenute agricole né imprese, né abbiamo un lavoro nella pubblica amministrazione né viviamo del lavoro altrui, se non del nostro stesso sforzo (…) che è libero, senza padroni, (…) dignitoso, privo di sfruttamento, è condiviso, è per tutti . Questo esprime la parola "cooperativa". Lavoriamo nei campi, nell'allevamento e nella lotta per la terra".
La Cooperativa de Trabajadores Rurales coinvolge una ventina di famiglie che si riuniscono in assemblea per organizzare laboratori di educazione popolare e gruppi di lavoro: c'è un gruppo per l'orto, uno per la commercializzazione, uno d'ingegneria; di quest’ultimo gruppo fa parte Ramòn:“sento di vivere in un modo diverso (…) producendo autonomamente. Per esempio, sto vendendo del latte, vado di casa in casa con una sola vacca. Salgo nelle case per venderne un litro, due litri - quello che la vacca mi dà - e vivo di questo sostentamento"; i prodotti della cooperativa vengono venduti sia ad un gruppo di consumatori organizzato in rete che presso la sede stessa della cooperativa, così come nei mercati e nei piccoli supermercati.

Il sistema di produzione ed anche le scelte di vita dei compagni della Cooperativa sono animati da principi proposti come alternative al modello di produzione e di vita capitalistico: dai gruppi di studio per elevare il livello generalmente scadente di scolarizzazione dei bambini, alla “giornata del bambino”- perché deve esserci un tempo per il gioco e per il rapporto genitori-figli -, dalla diffusione del patrimonio di cultura popolare attraverso i balli tradizionali all’uso di rimedi naturali tradizionali in sostituzione dei farmaci industriali.

Tuttavia il sistema è ostacolato da gravi problemi, nei quali si concretizza la contrapposizione tra agriecologia ed agrinegozio (il capitalismo nel settore primario): in primo luogo i prodotti della cooperativa hanno costi più alti rispetto a quelli delle grandi aziende, in secondo luogo non riescono a soddisfare il fabbisogno di grossi quantitativi di prodotto espresso dai grandi rivenditori (per es. supermercati); a ciò si aggiungono i problemi derivanti dalla scarsa fertilità della terra, legata alla scomparsa dello strato più fertile e più superficiale di humus, la cosiddetta tierra negra.

Il socialismo dei compagni della Cooperativa parte dalla realtà concreta, si costruisce parlando coi propri vicini, discutendo dei problemi quotidiani: niente illuminazione, né sanità, strade disastrate ed una scuola lontana 3 chilometri da percorrere a piedi; in un passaggio storico caratterizzato dalla graduale scomparsa della piccola proprietà e da fenomeni di abbandono delle campagne e di inurbamento, la Cooperativa ha "una consegna molto importante, che è quella di volgersi di nuovo verso il lavoro nei campi".

(Fonte: Biodiversidad)

giovedì 18 ottobre 2007

Per i nostri fiumi, per la nostra terra, per il nostro futuro

Vale la pena di soffermarsi su alcune frasi contenute in una dichiarazione espressa dall'Assemblea Regionale Argentina-Uruguay, che si è riunita lo scorso 7 ottobre nella città di Nueva Palmira. Il mondo latinoamericano usa termini ed espressioni che l'Europa non riesce a far entrare nella propria consuetudine. Le popolazioni del Sud America hanno nella pelle un legame viscerale con la terra e un istinto carnale a non far calpestare da altri la propria libertà. Noialtri, che ci facciamo forti di una storia plurimillenaria e dell'invenzione della democrazia e dei diritti umani, non riusciamo a fare altrettanto.
"Non possiamo accettare un modello fondato sulla devastazione e sul continuo saccheggio dei nostri beni naturali. Perché la propagazione delle monocoltivazioni, la quotidiana forestierizzazione della terra, e l'installazione di industrie inquinanti nella regione, stanno causando danni irreparabili, al di là dell'assoggettamento a politiche degradanti che non hanno nulla a che spartire col nostro modo di vivere, con la nostra dignità, col nostro irrinunciabile impegno a costruire un mondo che contempli i bisogni e i desideri di tutti. Perché imprese come Botnia, Ence, Isusa e Stora Enso altro non sono che l'emblema di un capitalismo feroce e irrazionale che ignora frontiere e sovranità. Perché siamo sostenitori di un modello regionale che rispetta la vita, la dignità umana e il lavoro".
Dovremmo probabilmente riflettere su questa intransigenza dei popoli latinoamericani a farsi dominare, a farsi espropriare tanto le terre quanto la dignità e il futuro. Perché la speranza non si ipoteca con i falsi sogni delle multinazionali, né si mette all'asta nelle Borse del mondo.

mercoledì 10 ottobre 2007

Alla ricerca della biodiversità perduta

I panda, gli elefanti, le balene, i leoni... Sono tutti animali che fanno parte dell’immaginario comune come specie a rischio d’estinzione. Chi, almeno una volta nella vita, non si è soffermato a pensare con malinconia: “Come sarebbe brutto un mondo senza leoni nelle savane e senza balene nel mare…” ?
Davvero commovente.
Scommetto però che nessuno si è mai fermato a pensare a come sarebbe brutto un mondo senza ravanelli nell’insalata e senza rosmarino sull’arrosto…
C’è poco da ridere: anche alcuni tipi di piante sono a rischio d’estinzione e, paradossalmente, spesso si tratta delle specie di uso più comune; ma l’uomo, da buon primate risolutore di problemi, ha trovato una soluzione anche per questo, ovvero le banche dei semi… (e per semi si intendono proprio i semi delle piante!!)
Il fenomeno si è diffuso negli ultimi anni in tutto il mondo, anche in Italia; a Pavia, nel 2005 è nata la Lombardy Seed Bank (Lsb), che si occupa della conservazione della flora spontanea attraverso la custodia di semi delle piante e della vegetazione in generale. Si calcola, infatti, che entro il 2050 almeno 100.000 delle circa 300.000 specie di piante superiori viventi sulla terra potrebbero estinguersi, un migliaio in Italia e qualche centinaio solo in Lombardia.
In india, invece, nel 2006 nel Distretto di Chamarajnagar, Stato del Karnataka, si è svolta la Festa internazionale dei semi, organizzata per inaugurare la Banca dei semi originari, e soprattutto per far comprendere ai contadini che solo coltivando i loro semi originari senza pesticidi, erbicidi e concimi chimici, potranno uscire dalla spirale della dipendenza dalle multinazionali e dall'usura e tornare ad essere autosufficienti.
Nel tentativo di conservare la biodiversità tanto minacciata, a volte si percorrono vie che solo fino a qualche anno fa sarebbero parse paranoie da film di fantascienza catastrofico: nelle isole Svalbard, in Norvegia, circa un anno fa sono state gettate le basi per la realizzazione di un deposito di sementi scavato in una montagna artica. Il deposito dovrebbe garantire la sopravvivenza a lungo termine delle colture alimentari essenziali nel mondo, seguendo le linee guida di una più ampia strategia che ha l’obiettivo di tutelare le risorse alimentari collezionando sementi provenienti da ogni angolo del globo.

martedì 9 ottobre 2007

Farmer's market: forse è la volta buona

C'è un grande problema nel mercato mondiale dei prodotti alimentari: tutto deve arrivare dappertutto, in nome del duplice imperativo, da una parte della crescita economica di chi produce, dall'altra del diritto da parte del consumatore ad avere a disposizione ogni bene immaginabile.
E' indubbiamente bello poter mangiare i pregiati formaggi alpini o una fetta di un formaggio olandese, così come è bello che nel mondo si possa comprare la pasta italiana, che è l'unica decente; ma il raggiungimento di quest'apparente forma di giustizia del mercato nasconde alcune gravi conseguenze. La prima è che un bene alimentare nato nella tradizione gastronomica di un luogo, per essere esportato, deve aumentare la propria produzione a livelli industriali tali da sopportare le richieste di un mercato via via sempre più ampio, conformemente alla legge della crescita. Questo lo porterà inevitabilmente ad uno scadimento della qualità, giacché alle tecniche artigianali si sostituiranno i criteri di convenienza e di compromesso tipici dell'industria alimentare, che ne sviliranno la genuinità in nome della trasportabilità a lungo raggio, della conservabilità e dell'omologazione dei gusti. La seconda conseguenza è che sul prezzo del prodotto incideranno sempre di più i costi di trasporto ed eventuali dazi doganali, ovvero che i trasporti aumenteranno di volume immettendo nell'aria enormi quantità di polveri sottili (i camion vanno a diesel e non sono affatto ecologici...), intasando le strade e incrementando quindi anche il rischio di incidenti; tra l'altro, maggiore è il raggio di esportazione, più passaggi ci sono: questo porta ad un impoverimento dei produttori a tutto vantaggio degli intermediari. La terza è che il prodotto e il territorio perderanno il loro rapporto esclusivo, intimo: un rapporto storicamente determinato, che quindi è studiabile con criteri di ricerca scientifici, ma che significa anche possibilità di sviluppo di un turismo legato al cibo.
Per questo bisognerebbe ricreare un legame saldo fra i produttori e i consumatori, che privilegiasse il rapporto diretto e fiduciario tipico delle produzioni artigianali (anche se molte produzioni saranno nel frattempo passate alla dimensione della piccola industria), la stagionalità e la tipicità delle materie prime di un luogo. Tutto questo si chiama farmer's market, letteralmente, dall'inglese, "mercato del fattore". Il farmer's market è un'idea sorta negli Stati Uniti, che in alcuni Paesi europei è già una realtà diffusa, mentre da noi -ovviamente- è ancora un miraggio. Però qualcosa comincia a muoversi.
A Monselice (PD) è stata inaugurata venerdì scorso la sede del Consorzio "Agrimons", un ottimo esempio italiano di farmer's market nato dall'impegno di una trentina di aziende; presenti -oltre il presidente del consorzio Mauro Bertin- il Ministro per le politiche agricole Paolo De Castro, il presidente di Coldiretti Padova Marco Calaon, il direttore Walter Luchetta, l'assessore al commercio del Comune di Monselice Bruno Cama e l'assessore provinciale all'agricoltura Luciano Salvò.
I farmer's markets sono stati istituiti per legge con la Finanziaria 2006. Quel che ora bisogna aspettarsi ragionevolmente è un impulso all'iniziativa, la quale, senza sottrarre grosse quote di mercato alla concorrenza, permetterebbe però di creare un mercato locale equo, abbassando i costi al consumatore ma aumentando i guadagni al produttore. Attualmente, per inquadrare normativamente i farmer's markets, è in corso da parte del Governo un accordo con l'ANCI (Ass. Naz. Comuni Italiani). Comprare locale, specialmente se si può farlo direttamente dai produttori, significa sapere ciò che si mangia. Inoltre, è un'iniziativa etica e responsabile che riporta il commercio nel solco di una giustizia sociale dalla quale troppo spesso anche l'industria alimentare si allontana.

(Fonte: GreenPlanet)

Per approfondire:
www.farmersmarket.it, il portale italiano dei farmer's markets
Per rendersi conto dell'ampiezza del fenomeno negli Stati Uniti: qui e qui
Per un caso italiano a Taranto leggi qui

domenica 7 ottobre 2007

Contro l'iperconsumo di acqua minerale imbottigliata

Rigiriamo ai nostri lettori l'appello di Altreconomia, che si è trasformato in campagna di sensibilizzazione ed ora si avvia a diventare proposta di legge.

Noi italiani siamo i primi consumatori al mondo di acque minerali.
Ogni anno ne beviamo quasi 190 litri a testa, in media. E fuori casa, nei locali pubblici, beviamo quasi esclusivamente acqua in bottiglia. Spesso sono gli stessi gestori che, quando chiediamo una brocca o un bicchiere di acqua di rubinetto, ci spiegano di non potercela servire, anche se nessuna legge lo vieta.

La campagna "Imbrocchiamola!" vi chiede di segnalare i ristoranti, i locali, le pasticcerie, i bar che servono l'acqua di rubinetto e di indicarci quelli che non lo fanno.

Uno strumento per sensibilizzare all'uso dell'acqua di rubinetto che è buona, controllata, comoda (arriva in casa) e poco costosa.

Contestualmente, Altreconomia ha avviato anche una campagna contro le pubblicità riguardanti acque imbottigliate. Per comprendere lo spaventoso giro di affari che ruota intorno ad un litro d'acqua minerale, basti dire che gli imbottigliatori, nel 2005, hanno speso la bellezza di 379 milioni di euro in pubblicità. Ne hanno bisogno perché la concorrenza, l'acqua dell'acquedotto, è molto competitiva, e se il pubblico no venisse martellato da tanti spot ne comprerebbe molta di meno. Di fatto l’acqua in bottiglia fa concorrenza a un bene comune, solo che -a differenza dei privati- gli acquedotti non investono una lira per pubblicizzare il proprio servizio.

Senza pensare di ridurre la libertà di produrre e vendere acqua minerale, non si potrebbe invece legittimamente pensare di limitarne l’invadenza pubblicitaria?

Per difendere l’acqua degli acquedotti (buona, controllata, comoda e poco costosa) e garantirle un futuro forse è necessario limitare l’invadenza pubblicitaria delle acque minerali.

Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua minerale.
Voi che ne dite?


(Da: Altreconomia)

Per approfondire (dallo stesso sito):
L'acqua è gratis
Re e regine della bottiglia
Più spot, più consumi
Rubinetto VS bottiglia
Mettetela in brocca (di Camilla Lattanzi)

Per seguire la vicenda fra Altreconomia e Gruppo Ferrarelle: Davide contro Golia (di Miriam Giovanzana)

Il biologico francese ha bisogno di aiuti

Si è riunito venerdì scorso il primo Congresso nazionale francese dedicato al biologico, che Oltralpe conta solo l'1,8% della superficie coltivata e ha un andamento di mercato oramai stagnante. Il gruppo di lavoro prevede di raggiungere il 6% delle aree coltivate entro il 2012 e il 20% entro il 2020. Il problema, però, è che l'agricoltura biologica è una metodologia colturale nata e cresciuta nel solco dell'economia di mercato, e quindi non ne elimina tutte le storture. Per esempio il grave impatto ambientale che il sistema dei trasporti alimentari ha, oppure le filiere troppo lunghe; nessuno dei due problemi viene in realtà affrontato dal biologico, semplicemente perché esso si dedica esclusivamente alle tecniche colturali, e non anche all'economia, alla società con le sue abitudini di consumo, o al mondo politico e intellettuale.
Ciò che occorre fare, piuttosto, è tentare l'azzardo di porsi la domanda con cui mettere in discussione proprio ciò che diamo per scontato: possiamo cambiare il sistema produttivo, della distribuzione e della vendita? Possiamo ritornare ad una produzione ed un consumo localizzati, radicati nelle specificità del territorio? Possiamo realizzare un'agricoltura più giusta?
Fin quando si resta nell'ottica dell'economia deregolata in cui viviamo, infatti, si pensa percorrendo un circolo vizioso: questo non va bene, come posso fare? Lo incremento, lo sviluppo, lo accresco. Quando c'è qualcosa che non va, come si fa con un malato che non risponde bene alle cure, si aumenta il dosaggio; peggiora? Lo si aumenta ancora. Ciò che non si capisce è che è il farmaco stesso a farlo peggiorare, per cui bisognerebbe semplicemente sospenderlo. Questo è l'azzardo, mettendo in discussione quel che riteniamo giusto o irrinunciabile e immodificabile.
Ovviamente è un bene che i nostri Paesi aumentino la quota di agricoltura destinata alle produzioni biologiche; è anche ora di smettere di credere, tuttavia, che questo ci metterà al sicuro dagli altri numerosi problemi che il nostro stesso sistema economico e produttivo crea.
Per cui non resta che pensare il cambiamento come un'alternativa praticabile.


(Fonte: Greenplanet)

Sarkozy interroga i francesi sull'ambiente

di Francesco Panzetti

Non ci siamo abituati, noialtri, a queste consultazioni, fatto sta che Nicolas Sarkozy sta per iniziare, da domani, una settimana di interrogazioni alla cittadinanza francese in merito a tre temi fondamentali: agricoltura biologica, OGM e pesticidi, gas serra.
"Gli automobilisti francesi sono disposti ad accettare dei limiti di velocità più restrittivi sulle strade ed autostrade per ridurre le emissioni di Co2?", "I consumatori francesi sono pronti a spendere di più per il cibo nei prossimi 13 anni, per consentire di sviluppare delle coltivazioni biologiche?", "Gli agricoltori francesi sono pronti a bloccaqre l'utilizzo di pesticidi?". Queste sono alcuni dei quesiti a cui i cittadini francesi dovranno rispondere.
Checché alcuni avversari politici ne dicano, si tratta di un passaggio importante nella politica di una nazione, che presuppone scelte ampie e la consapevolezza di poter incidere negativamente sulle ricchezze di alcune categorie di produttori, oltre che richidere una presa di coscienza anche da parte dei cittadini.
Noi prendiamo atto di una cosa: che da noi si parla molto nella vetrina politica, ma non si vedono fatti, mentre l'Italia sembra aver sempre più bisogno di un nuovo Gracco che riformi radicalmente il comparto agrario e zootecnico. Il vituperato Sarkozy, che ha pur sempre il "marchio d'infamia" di appartenere alla destra, fa ciò che Pecoraro Scanio, da ministro, non ha mai fatto.
Delle due l'una: o la destra d'Oltralpe non è come la nostra, o la nostra sinistra è come la nostra destra. Tertium non datur.

(fonte: Greenplanet)

Agricoltura insostenibile: le origini del problema


L’alternativa “agricoltura biologica”

di Enrica

Agricoltura biologica, ecologica, alternativa, sono sinonimi utilizzati per esprimere un medesimo concetto: fare agricoltura applicando tecniche agronomiche che prendono a modello i ritmi della natura e le sue leggi.
Il modello di sviluppo delle società occidentali, se osservato in un’ottica di lungo periodo, risulta insostenibile per le naturali capacità produttive dei suoli agrari. Abbiamo infatti assistito, dal dopoguerra ad oggi, da un lato ai processi di urbanizzazione e conseguente edificazione che hanno portato ad una contrazione della SAU (Superficie Agricola Utilizzabile) totale, e dall’altro ad un aumento della richiesta di derrate alimentari per far fronte all’incremento demografico e al crescente benessere. Ed effettivamente, nonostante la SAU sia stata sensibilmente ridotta, la produttività per unità di ettaro è andata aumentando. L’agricoltura dei Paesi Industrializzati è riuscita a supplire all’antinomia “diminuzione superficie” – “aumento prodotti della terra”, grazie all’intensificazione della pratica agricola e all’introduzione di input all’interno delle aziende agrarie. Per input si intendono tutte quelle immissioni di energia e di risorse (sostanze chimiche di sintesi, macchine) all’interno di un’unità produttiva agraria, che vanno a sommarsi a quelle energetiche naturali, quali la trasformazione dell’energia solare in sostanza organica e il sostentamento fornito dagli elementi minerali e organici presenti nella terra.
Il paradosso sostanziale di questa realtà è dunque la soluzione a cui si è pervenuti per gestirla, una soluzione che appaga le esigenze dell’uomo, ma sterilizza la natura, poiché intensificare le pratiche agricole significa di fatto sfruttare le risorse del terreno e quindi inesorabilmente impoverirlo di proprietà chimiche e biologiche.
In un quadro di interventi che, soprattutto in passato, sono stati così poco attenti alle risposte dell’ecosistema, si inserisce l’alternativa rappresentata dall’agricoltura biologica, che mira ad ottimizzare il rapporto diretto ed inevitabile tra l’agricoltura e l’ambiente; non dimentichiamo che l’agricoltura è la forma di utilizzazione del territorio più estesa e che agli agricoltori è affidato il vitale compito di occuparsi del territorio e di tutte le sue risorse.
La ricerca in questo settore, si pone un obiettivo di non facile acquisizione, che è quello di selezionare varietà resistenti a fitofagi e fitopatogeni, salutari, di buon sapore, che sviluppino produzioni quantitativamente apprezzabili per impostare un discorso economicamente valido, e il tutto senza inquinare.

Spesso l’aspetto più difficile da risolvere è proprio quello che riguarda il reddito. Le colture biologiche portano all’ottenimento di quantitativi di produzione per ovvie ragioni inferiori a quelli dell’agricoltura tradizionale – nella maggior parte dei casi - e forse è anche per questo che sono per ora una realtà in minoranza: in Italia, la superficie interessata ad agricoltura biologica risulta pari a 1.052.002 ettari, vale a dire l’8% della SAU totale (fonte: SINAB 2003).

FALCE E FORNELLO



di Francesco Panzetti


Entro in un supermercato, e mi dirigo verso il bancone degli yogurt: un’enorme fauce aperta butta fuori il freddo per una quindicina di metri, consumando una quantità enorme di corrente per produrre calore che si disperde in buona parte nell’ambiente. Se avesse degli sportelli, consumerebbe molto meno.
Torniamo allo yogurt, prodotto, per esempio, con latte tedesco perchè le mucche italiane fanno il latte ma sono ignoranti e non conosco l’economia aziendale, mentre le colleghe tedesche già marciano verso Bruxelles inviperite, sicché bisogna proprio convincere le nostre a produrne di meno... Autobotti tedesche viaggiano verso l’Italia per darci quel latte che abbiamo già, percorrendo chilometri e bruciando benzina. Benzina… Ah, petrolio! Cadaveri preistorici. I camion viaggiano con gasolio per produrre il quale le multinazionali (anche l’ENI, anche l’AGIP) calpestano i diritti delle popolazioni povere del mondo e fomentano guerre. Teste di uomini, donne e bambini rotolano, ma noi vogliamo comunque trasportare latte tedesco per sostituirlo a quello che abbiamo già. Che meraviglia. Mi viene lo schifo dello yogurt e passo avanti. Penso: se compro ortaggi faccio una colazione più sana, leggera e non faccio torto a nessuno.
Compro dei pomidoro. Belli, vengono dalla Spagna. E i nostri? Dove vanno? Non bastano? Ma se i contadini i pomidoro li schiacciano coi trattori perché nessuno li compra? E quanti idrocarburi sono stati immessi nell’aria per far viaggiare quei pomidoro dalla Spagna all’Italia? Rotolano altre teste: penso a pozzi incendiati nel Kuwait e all’Iraq, e mi cominciano a girare di brutto. Ah, ma no… vedi che ci sono anche quelli italiani? Sono della Campania, costavano 30 centesimi al chilo dal contadino, a me 2 euro; sono arrivati in Sicilia o in Emilia e messi in una vaschetta di plastica, per poi tornare indietro da dove erano partiti (e altri soldini a Benetton e alle compagnie petrolifere). La prossima volta giuro che i pomidoro li compro dal contadino sotto casa…Ma io abito nel Napoletano: vi pare una buona idea comprare gli ortaggi o la frutta delle mie campagne, dove la camorra incendia ogni giorno cumuli di rifiuti? Dove il terreno, l’aria e l’acqua sono carichi di piombo, arsenico, cianuro, mercurio, bario e amianto? Dove la diossina nel sangue è 30 volte superiore alla soglia massima fissata dalla legge? Faccio la fame io, e faccia la fame pure il contadino.
Mi servirebbe anche un chilo di pere. Pere. Nel territorio di un solo paesino, nelle campagne molisane, una volta ce n’erano più di venti varietà. Me l’hanno detto i contadini. Oggi sul mercato resistono solo poche qualità: che ci guadagna il contadino a vendere tre cassette di pere che produce solo lui? Beh, quelle tre cassette si chiamano biodiversità. È la natura più il contadino moltiplicato per centinaia di anni e decine di innesti e di incroci. Organismi Geneticamente Modificati a tutti gli effetti, però col bollino di Madre Natura: niente microscopi, ma solo innesti per talea. Tuttavia, siccome quasi nessuno le produce più, tutte quelle varietà si perdono insieme ai vecchi che se ne vanno al Creatore. Mi sento un ladro a comprare ‘sta roba che viene da così lontano, poso la busta, getto il guanto e passo oltre.
Ci sono delle fette biscottate. Ammazzerò mica qualcuno pure con queste? Leggo gli ingredienti in cerca di indizi di atti criminosi: niente, solo farine maltate. Poi mi sorge il dubbio: ma quali farine? La questione del grano non è così semplice: i contadini coltivavano il loro grano, quello che la Natura gli forniva da millenni e poi ad un certo punto sono arrivati dei signori che hanno detto loro “comprate questi semi, sono tutt’un’altra cosa”. Ora possono coltivare solo quelli, che sono sterili e li obbligano ogni anno ad acquistarne di nuovi… Sei indiano ed i tuoi coltivano da sempre l’albero del Neem, poi un giorno arriva la multinazionale W. R. Grace e lo brevetta…tu, che ce l’hai sotto casa da un secolo, ora per coltivarlo devi pagare. Sempre in India, la Monsanto ruba i semi ai contadini e brevetta la farina ottenuta da questo grano come anche l’impasto e «biscotti o altro, prodotto dalla farina…»…Biopirateria ! Rinuncio alle fette biscottate.
Carne? Neanche a parlarne. Gonfiano i manzi e le vacche per riempire i loro muscoli d’acqua, per aumentarne il peso ed il relativo guadagno. Ma se metti una bistecca da 100 grammi in padella e te ne ritrovi 50 a bagnomaria, c’è qualcosa che non và. Non potendo reclamare presso le bestie - le quali, poverine, per essere state così gonfiate e spremute, sviluppano un sacco di malattie i cui costi ricadono su di noi -, andrò sotto casa degli allevatori con una brocca di brodaglia vaccina in mano: “ridatemi i soldi!”.
Esco dal supermercato a mani vuote e con la coda fra le gambe. Che faccio, non mangio più? Non c’è un altro modo? Beh…qualcosa forse si può fare: informarsi, coltivare la propria consapevolezza e orientare le scelte in armonia con un principio etico di responsabilità e di giustizia. E poi parlarne con gli amici, mostrare loro certe assurdità del mercato, trasformando la propria rabbia in una dialettica contagiosa.
Noi ci vogliamo provare. Voi prestateci orecchio.

America Latina: la lotta per la terra

Da: ANRed (Agencia de Noticias Red Accion)

In vari punti dell’America Latina si conduce una lotta di rivendicazione sulle risorse naturali, che interessa diverse fasce della popolazione, dai popoli indigeni ai movimenti territoriali urbani. Ciascuna con le proprie differenze, denunciano diversi aspetti di uno stesso problema: la speculazione economica, l’esclusione sociale, la disoccupazione, l’oppressione e la emarginazione; sono processi di oppressione che cominciarono ad annientarli, a cancellare le loro tracce, la loro cultura, i loro valori. Oggi tali popolazioni vanno a far parte, poco a poco, del processo di resistenza che portano avanti i popoli originari di tutta l’America Latina, che, in alcuni Paesi come l’Ecuador e la Bolivia, dai quali le lotte sono state capeggiate, hanno visto cadere perfino i propri presidenti.

Alcuni movimenti sono nati negli anni ’90, denunciando la vendita indiscriminata delle terre e la consegna delle risorse petrolifere nelle mani dei privati. A metà della decade di Menem, poi, sono riusciti, insieme alle varie comunità, a farsi riconoscere i loro diritti come popoli nella riformata costituzione nazionale.

La lotta per la terra ha una radice assai profonda nella visione cosmica dei popoli nativi, in cui è la terra la padrona degli uomini, lo spazio nel quale si rende possibile lo sviluppo della cultura comunitaria nel presente come nel futuro; include tutte le risorse naturali, sia materiali che spirituali: la terra come madre della vita. Per i movimenti urbani, invece, non c’è un grado così simbolico di valori nella lotta alla terra, ma le radici sono simili: l’esclusione e la disoccupazione non fecero che aumentare le fasce di povertà che si ammassavano ai margini delle grandi città, la mancanza di politiche pubbliche, sanità, educazione che furono all’origine dei movimenti dei disoccupati. L’impossibilità di accedere ad un tenore di vita dignitoso provoca oggi forti tensioni, con occupazioni di terre nelle quali la consegna è occupare, resistere, costruire.

Purtroppo, a fronte di tante lotte si registra continuamente la repressione da parte dello Stato, che non ammette che il popolo reclami i suoi diritti. L’occupazione delle terre urbane e la lotta per la proprietà comunitaria toccano le radici profonde degli interessi economici di questo sistema. Così le persecuzioni e le manganellate vengono ripartite egualmente fra studenti, insegnanti, disoccupati, lavoratori e movimenti indigeni, mentre le resistenze vanno aumentando e s’incontrano su vie comuni.

L'America Latina agricola si muove contro lo sfruttamento minerario

E' di questi giorni (5 ottobre) la notizia che il 18 settembre in Ecuador, nella città di Loja, si è tenuto un incontro delle associazioni per la vita e contro lo sfruttamento minerario a grande scala fatto dalle società transnazionali. L'assemblea ha prodotto considerazioni e risoluzioni di grande importanza, che permettono di comprendere la gravità del problema nell'America Latina ma anche le difficoltà patite a causa di questo fenomeno da parte dei contadini, nonché il loro desiderio di riscatto e la capacità che hanno di proporre una diversa programmazione economica basata su uno sfruttamento del territorio ecologico e sostenibile.
Le popolazioni locali hanno dovuto subire le alterazioni alla loro tradizionale economia dovute all'arrivo dei grandi gruppi industriali che hanno sottratto braccia all'agricoltura senza aver offerto prospettive migliori, nonché inquinando e compromettendo il territorio con le proprie attività, che hanno spesso una portata gigantesca. Le comunità sono state disgregate, e i gruppi di protesta sono stati criminalizzati e perseguitati. Le conseguenze nefaste delle attività esplorative od estrattive hanno investito la sfera dei diritti collettivi, la stabilità dei bacini idrici, la biodiversità, la produzione agricola e in special modo granaria in tutto il continente.
Come al solito, l'America Latina dimostra di riuscire a pensare ai propri problemi in una prospettiva continentale, unitaria, che è certamente una delle più grandi risorse umane della politica e dell'azione civica e sociale di questa parte del mondo; al contrario, l'Europa, che ha innescato oramai da mezzo secolo un processo di unificazione dall'alto, non riesce ad attivare analoghe dinamiche anche dal basso, dove la secolare storia di divisioni etniche o nazionali ha la prevalenza sui tratti comuni.
Per il momento le associazioni di protesta sono riuscite a fermare alcune delle attività minerarie; del resto, queste ultime costituiscono una realtà molto antica nel continente, per cui anche la coscienza e la sensibilità delle popolazioni a questo tema è alta. Ciò ha portato, per esempio, il 18 settembre, in Perù, ad un voto popolare attraverso il quale i cittadini dell'area interessata hanno espresso il loro dissenso alla costruzione di un nuovo impianto minerario, sebbene il governo locale ha dichiarato di voler delegittimare questa espressione di volontà popolare.
Le associazioni chiedono la nazionalizzazione delle risorse naturali strategiche, al fine di sottrarle allo sfruttamento da parte delle società transnazionali, che esercitano attività completamente deregolamentate; l'impulso ad una politica nazionale incentrata sulla sovranità alimentare ed un'economia solidale ed ecologica legata alle risorse rinnovabili del territorio; la sospensione delle attività minerarie; dichiarare il Sud dell'Ecuador in mobilitazione permanente, il che significa fare campagne di sensibilizzazione verso la popolazione, sviluppare il mandato sociale per la costituente, includendo anche una discussione democratica sul problema; e fare del Fronte di Resistenza Sud una piattaforma per il recupero della sovranità popolare basata su solidarietà, equità e uso sostenibile delle fonti naturali; infine, mobilitare a livello subcontinentale le altre associazioni che combattono lo stesso problema.
Ancora una volta le popolazioni povere vengono fatte oggetto di politiche aggressive da parte di compagnie private con la connivenza degli organi dello Stato, senza essere consultate né rese partecipi. Ancora una volta l'agricoltura paga lo scotto nei confronti di altri tipi di attività produttive.

sabato 6 ottobre 2007

Da martedì 5 contadini sardi praticano lo sciopero della fame

Hanno avuto accesso ad un mutuo a tasso stanziato grazie ad una legge della loro Regione (la 44/88); i politici italiani avevano pensato bene di non notificarla all'UE, pertanto, quando anni dopo questo è stato fatto, la legge è stata dichiarata illegale dall'Unione europea e l'Italia è obbligata a recuperare presso i beneficiarii i crediti erogati.
Così iniziano i guai per 5'000 contadini sardi, che, non avendo disponibilità economiche sufficienti, sono costretti a dichiararsi insolventi o falliti.
La storia di alcuni di loro (quelli che stanno facendo lo sciopero della fame) qui, qui invece più dettagli sulla storia della 44/88, e qui maggiori dettagli sulla loro protesta e la lettera-appello dei contadini.

Mi pare di poterne trarre una sola conclusione: i politici che, per inadempimenti amministrativi, provocano danni a cittadini terzi dovrebbero almeno essere sottoposti ad un processo. Immediatamente. Ignorantia legis non excusat.

mercoledì 3 ottobre 2007

Cicerchia: deliziosa o velenosa?

La Cicerchia (Lathyrus sativus) è una leguminosa da granella che ha la caratteristica di produrre semi anche in condizioni ambientali difficili, nelle quali nessuna altra pianta commestibile sopravviven e tanto meno, fiorisce.
In epoca storica la cicerchia era diffusa in tutta l’area mediterranea, Italia peninsulare compresa, e nell’Italia del Cinquecento e del Seicento compariva anche sulle tavole dei Grandi, come risulta dalle citazioni in importanti testi gastronomici.
Bene, questa di per se potrebbe non essere una cosa molto interessante, e allora perché la sto raccontando? Perché c’è un inghippo: Il mangiare cicerchie in abbondanza o per periodi prolungati può provocare un’intossicazione con disturbi neurologici agli arti inferiori, dapprima funzionali e reversibili, che se non curati possono arrivare alla paralisi spastica degli arti inferiori con l’impossibilità di deambulare!
Solo negli anni Ottanta dell’Ottocento alcuni medici napoletani collegarono casi di paralisi al consumo di cicerchie e per sottolineare questo rapporto venne coniato il termine latirismo, attualmente spesso sostituito da latiriasi, entrambi derivati da lathyrus, il nome latino della cicerchia, per ribadire il nesso causale fra quel cibo ed i disturbi. I casi osservati non riguardavano residenti in Napoli, ma soprattutto contadini abruzzesi.
Da studi eseguiti una ventina d’anni fa si è chiarita l’etiopatogenesi del latirismo. In pratica le cicerchie (cioè i granelli eduli) contengono una sostanza tossica resistente alla cottura, la beta-N-ossalilammino-L-alanina, indicata con l’acronimo BOAA, che è un amminoacido non facente parte delle proteine e che interferisce con i recettori neuronici per l’acido glutammico, provocando degenerazione delle vie corticospinali, con comparsa dapprima di disturbi funzionali e poi di paralisi spastica irreversibile degli arti inferiori
Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento il latirismo era una malattia riportata nei trattati anche se in maniera imprecisa. Poi negli anni Trenta vi furono dei progressi e adesso anche l’Enciclopedia Italiana (Treccani) menziona la cicerchia alla voce “Tossicologia”, tra gli avvelenamenti di origine alimentare da sostanze quasi costantemente tossiche, erroneamente usate come alimenti: es. pesci velenosi in modo permanente; funghi velenosi; semi di ricino; cicuta scambiata per prezzemolo; semi di mandorle amare o di pesche; semi di cicerchia che determinano il latirismo.
Dopo gli anni Cinquanta, invece, la malattia scomparve dai testi di medicina, non perché fosse stato dimostrato che le cicerchie erano ingiustamente accusate, ma perché oramai, essendo divenute un cibo molto raramente consumato in Italia, non si verificavano più intossicazioni.
Purtroppo negli ultimi anni in Italia stiamo assistendo ad un ritorno della cicerchia in uno scenario di recupero di cibi tradizionali. Così la Regione Umbria ha inserito la cicerchia fra i prodotti agro-alimentari tradizionali. In Campania la sua popolarità e diffusione è dimostrata dalle frequenti citazioni sulla stampa quotidiana.
Con questo rinnovato interesse per la cicerchia ed il conseguente aumentato consumo è possibile che prima o poi anche in Italia si abbia la ricomparsa di qualche caso di latirismo, la cosa grave è che siamo del tutto impreparati a tale eventualità. Molti medici e molti laureati in agraria ignorano la tossicità della cicerchia, per non parlare della gente comune.

mercoledì 26 settembre 2007

La vita agra...

Tutti i partecipanti al corso per diventare esperti in comunicazione pubblicitaria si siedono in una sala, e due signorine passano offrendo loro dei biscotti da due vassoi differenti: "biscotti magri, prego biscotti magri!", ripete l'una; e l'altra: "biscotti grassi, biscotti al burro". Chi s'ingolla i primi, chi i secondi. Ugo Tognazzi ne prende da entrambe, e, perplesso, li assaggia. A quel punto entra il docente, uno ossuto ed occhialuto, li guarda e dice:
"Voi avete sentito la presenza o l'assenza del burro con le orecchie anziché col palato. I biscotti erano perfettamente uguali! E' su questo principio fondamentale che dovete basare il vostro lavoro futuro. Il pubblico i sapori li deve sentire con la vista, con l'udito, col tatto. Il palato non serve. Non serve il vero burro, il vero grasso, non serve l'uva nel vino. Le sostanze naturali, nell'industria moderna, sono destinate a scomparire. L'importante è che non scompaia nella mente dell'uomo moderno il desiderio di consumare vero vino, vero burro, vero latte. E questo principio vale per tutta la produzione, non solo per quella alimentare".

Da "La vita agra", di Carlo Lizzani (1964) - dall'omonimo romanzo di Luciano Bianciardi (1962)


Per approfondire:
Fondazione Luciano Bianciardi
Luciano Bianciardi, la missione dell'anarchico
Per Luciano Bianciardi, scrittore ed eroe
Una vita agra - biografia di Luciano Bianciardi
Luciano Bianciardi (da www.ilpopolodelblues.com)

giovedì 20 settembre 2007

Perché YogurtZine. Una presentazione in poche forchettate

Non è vero che il mondo va sempre peggio. O meglio è vero in parte. Ma c’è anche un’altra parte che nasce dal basso e si espande a macchia di leopardo, pian pianino e perlopiù in sordina; pensiamo a quella parte che è lontana dai numi tutelari della nostra epoca - profitto&competizione - e dalle grandi retoriche di fine millennio, e che sceglie invece la via delle pratiche sociali e dell'azione concreta quotidiana...Visitate ad esempio www.altraeconomia.it o http://unimondo.oneworld.net: sono alcune delle foglie di quell’albero che continua crescere in un’oasi etica, in un mondo economico per lo più non regolato, selvaggio.
Che cosa centra YOGURTzine con tutto questo? Noi vorremmo parlare di cibo. Di cosa c'è dentro, di cosa c'è prima e dopo, del cibo come nutrimento ma anche come elaborazione culturale e specchio dei mutamenti e della complessità delle società umane. Del cibo e dell’economia, tra processi di produzione, trasformazione e distribuzione…un’economia equa o selvaggia? Quali e quanti i danni inflitti all’uomo ed all’ambiente per mantenere (troppo) ben pasciuta una piccola parte dell’umanità? Le tematiche del cibo incrociano quelle del Diritto, dall’impoverimento dei paesi in via di sviluppo alle dinamiche migratorie alle questioni ecologiche, dalla desertificazione all’emergenza climatica alla carenza di risorse idriche, e ciò implica per tutti noi un irrinunciabile ed irrimandabile imperativo etico.
Il cibo ha, d’altra parte, un ruolo importante nel nostro immaginario: cinema, televisione, fotografia, letteratura, raccontano un certo modo, o meglio molti diversi modi di mangiare, come icona del buon vivere, del vivere con gusto e/o del viver sani…ma fino a che punto è vero lo si può scoprire solo guardando con attenzione nel piatto prelibato, o presunto tale, che ci troviamo davanti.
In fin dei conti, perciò, non è poi così pazzesco se, raccontando la storia dell’amatriciana, si finisca a parlare tanto di sapori, profumi e calorie quanto di diritti, di ambiente o di ineguaglianza sociale: il cibo non è solo una faccenda di gusto e di creatività, ma una porta verso il mondo dell’uomo, con le sue bellezze e i suoi orrori.
Non è vero che il mondo va sempre peggio. È vero solo che il male è più rumoroso; ma il buono, dalla sua, ha di essere contagioso.
Buona lettura.

La redazione di YogurtZine

martedì 18 settembre 2007

Pellone, o il re della pizza

Quando ho visto il risultato del nostro sondaggio sulla migliore pizza fritta a Napoli, non sono rimasto per nulla sorpreso del risultato. La pizzeria "Pellone" ha stravinto conquistato oltre il 50% delle preferenze, battendo anche "Dal presidente", celebre per la sua pizza con i cicoli. Si piazza male "Da Michele" a Forcella, segno di un decadimento ormai cominciato da qualche tempo.

"Pellone" non è una pizzeria come le altre, è un'altra cosa. Chi ha degustato la pizza fritta, ma anche la semplice Margherita, non riuscirà ad apprezzare ugualmente un'altra pizza. Sarebbe davvero difficile descrivere con le sole parole il capolavoro di arte culinaria che quotidianamente esce dai forni di "Pellone".
Potrei parlare degli ingredienti di prima qualità, come la pasta, l'olio e la mozzarella di bufala.
Potrei parlare delle dimensioni della pizza, che spesso ti obbligano a dire "Basta!", poichè la pizza, come si dice a Napoli, è "'a rota 'e carretta" (ovvero "a ruota di carro").
Potrei parlare della gentilezza e dell'onesta di camerieri e pizzaiolo, che ti servono velocemente e non spacciano la mozzarella normale per quella di bufala (come, purtroppo, fanno molti altri).
Potrei anche lodare le qualità della frittura che si può acquistare mentre si aspetta il tavolo, anche quella probabilmente la migliore all'ombra del Vesuvio.

Ma non vi dirò nulla oltre a ciò che è stato scritto sinora. Perchè la qualità della pizza di "Pellone", a tratti taumaturgiche, si possono apprezzare davvero solo recandosi a Via Nazionale a Napoli. Cosa state ancora aspettando?
Giuseppe "GiUfIsK" Fiscariello

sabato 15 settembre 2007

La mattonella all'arancia

La ricetta di questo dolce mi fu data da una mia cara amica, Diva – motivo per cui ai miei amici è nota come “divina mattonella” -, che lo aveva inventato come dolce leggero per un’amica che aveva problemi di linea: la ricetta originale, infatti, prevedeva solo i due tuorli, i mandarini, il pan di spagna fatto col fruttosio ed il fruttosio al posto dello zucchero a velo. Buona, ma un po’ triste… convinta del fatto che sia meglio assaggiare un cucchiaino di un dolce ottimo, piuttosto che una ciotola di surrogato, l’ho adattata a modo mio e l’ho resa un po’ più calorica, ma –diciamocelo- decisamente più gustosa. Fermo restando che potete, naturalmente, farla ritornare una ricetta virtuosa e light a piacere…

Ingredienti:

2 tuorli d'uovo; 8 mandarini o 4 arance; 20 gr di zucchero a velo; un Pan di Spagna o un plum cake vecchio di un paio di giorni; due cucchiai colmi di uva sultanina; 200 gr di cioccolato fondente; biscotti secchi; un bicchierino di amaretto di Saronno.

Mescolare tuorli e zucchero con un frullino fino ad ottenre un composto spumoso e quasi bianco; aggiungere il succo dei mandarini o delle arance e un po' di amaretto. Inzuppare nel composto sottili fette di Pan di Spagna e i biscotti secchi sbriciolati, alternandoli in uno stampo da plumcake; aggiungere fra gli strati scaglie di cioccolata e uvetta lasciata a macerare per un quarto d’ora in un bicchierino di amaretto. Metter a cuocere nel forno già caldo per 20 minuti a 180° e lasciare raffreddare per 2 ore in frigo. Una volta raffreddato, togliere dallo stampo e coprire col cioccolato fondente sciolto a bagnomaria.

martedì 11 settembre 2007

A volo d'uccello... Puglia, una regione di pietra

Giurdignano, menhir


di Francesco Panzetti

Probabilmente, non c’è una regione che, più della Puglia, sia ricordata per le caratteristiche del suo territorio e della sua storia agraria: le Murge e il Tavoliere riescono a penetrare nell’occhio del viaggiatore forse con ancora maggior evidenza delle Dolomiti o delle Alpi lombarde, si rimane spiazzati dalla piattezza del paesaggio e dalla pietrosità implacabile di una pianura dura da mordere con gli aratri e le zappe. Questo paesaggio, in realtà, ha ben poco di naturale, essendo quasi per intero il frutto della faticosissima e secolare opera dell’uomo, che ha guadagnato all’agricoltura circa l’80% degli spazi, ha bonificato grandi estensioni di pianure paludose, ha creato le saline di Margherita di Savoia portando l’acqua marina sulla terra, ha cancellato quasi del tutto gli antichi querceti sostituendoli però con le colture arboree (specialmente con l’ulivo) che oggi sono il nuovo segno emblematico del paesaggio di questa regione.



Trulli

Eppure, ciò che più colpisce della Puglia è senz’altro la pietra: l’aspra pietra sbriciolata nei campi del Tavoliere, delle alte Murge e del Salento; quella del castello di Federico II (monumento perfetto e ineguagliabile alla pietra stessa), e dei Trulli, o del Dolmen di Bisceglie; quella, infine, delle case rupestri nelle lame e quella delle maestose gravine che a decine tagliano i tavolati calcarei delle Alte Murge.
Le scelte attuate dagli uomini per lo sfruttamento del territorio, insieme ai vincoli che il terreno pone al loro lavoro, determina i modi in cui si declinano le forme e gli spazi abitativi e l’Italia è uno straordinario caleidoscopio delle soluzioni dello stare insieme, dalle case a corte della Bassa lombarda e piemontese ai villaggi delle valli alpine, dai borghi dei pescatori fra le aguzze rocce della Liguria e della Campania alle fattorie e cascine dell’Appennino tosco-umbro-marchigiano, e alle masserie dell’Appennino meridionale.

Castel del Monte


Il Foggiano era una landa desolata, per duemila anni almeno regno incontrastato del pascolo: gli armenti giungevano qui dopo aver percorso centinaia di km sulle reti tratturali che dalla Sabina e dall’Abruzzo, attraverso il Molise, giungevano nelle piane della Capitanata; milioni di ovini brucavano rendendo sterile il suolo ma arricchendo le popolazioni di prodotti caseari e di lana. I tratturi, tuttavia, furono soppressi dalla cieca politica economica postunitaria, e così il territorio ha gradualmente mutato forma, fino a diventare nel primo ‘900 un enorme granaio, principe delle colture il grano Senatore Cappelli ed altre varietà del prezioso cereale messe a punto da Nazareno Strampelli.
La geologia condiziona l’uomo in ogni sua attività e quindi è importante osservare come la Puglia si articoli per lo più in gradinate che scendono progressivamente verso il mare: il primo gradino è quello delle Murge (750 - 350 m s.l.m.), dominio del pascolo, con un’agricoltura estensiva e poco diversificata ed una densità di appena 2 ab./kmq. Fra i 350 e i 100 m s.l.m. si estende la Premurgia, regno incontrastato dell’ulivo, del mandorlo e della vite; anche qui l’uomo vive della campagna, ma non nella campagna. Infine, la cimosa pianeggiante che dalle Premurge giunge fino al mare gode dei terreni più fertili, dalla falda acquifera poco profonda che favorisce le intense colture orticole. Chiude il quadro il Salento, monotono, piatto, calcareo, carsico; eppure recentemente la pervicacia dell’uomo ha modellato il Salento popolandolo di olivi, viti e ampie distese di grano, mentre il modello insediamentale è esattamente l’opposto di quello delle Murge: una “frammentopoli” (A. Bissanti) fatta di piccoli «centri sonnacchiosi, tirati a calce, dal sapore vagamente orientale».

Bisceglie, dolmen


QaQuanto al Tarantino, si tratta di una Murgia costituita non da calcari ma da più teneri calcareniti, che ne mitigano l’asprezza anche all’occhio e rendono più facile il lavoro nei campi, pur senza cancellare la sensazione di aridità del paesaggio. L’allevamento è una grande risorsa e l’abbondanza di capi bovini ed equini ha favorito di certo la nascita del singolare fenomeno dei fornelli. È questo il regno delle lame (incisioni carsiche più dolci) e delle gravine (quelle più profonde). Non casualmente, è proprio a cavaliere delle gravine che sono sorti i maggiori centri della zona: Ginosa, Laterza, Massafra, Castellaneta e, in un paesaggio ancora in parte simile, la lucana Matera
Il fatto che la Puglia risulti così chiaramente “tagliata” in gradinate rocciose e dotata di territori dalla natura nettamente diversa, ha determinato storie economiche diverse ed una diversa cultura gastronomica; forse questo spiega anche il singolare fenomeno per cui, già a meno di 20 km dal mare, si può gustare una cucina esclusivamente di terra, centrata con mirabile freschezza e leggerezza sui sapori dell’orto.


Per questo articolo abbiamo usato:

Paola Sereno, Paesaggio come documento, in «Campagna e industria. I segni del lavoro», collana «Capire l’Italia», Touring Club Italiano, Milano 1981

Andrea Bissanti, La Puglia, in «I paesaggi umani», collana «Capire l’Italia», Touring Club Italiano, Milano 1977